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La tradizione della salumeria italiana è da sempre una delle più apprezzate a livello internazionale. Le sue origini si perdono nei secoli, riconducendosi a una forte cultura e passione per la lavorazione delle carni, soprattutto legata alla trasformazione e alla conservazione di quelle di maiale. In effetti le carni di maiale sono state sempre una preziosa risorsa per le piccole economie rurali (prima dell’avvento industriale e di una produzione svincolata dalla stagionalità), sia perché questi animali sono robusti, poco esigenti e più facili da allevare rispetto ad altre specie, sia perché sono più adatti alle diverse condizioni climatiche della terra italiana, che ha permesso una diffusione capillare della pratica dell’allevamento e della lavorazione della carne suina in tutto il Paese. Un tempo, i suini erano solitamente allevati in casa o nei terreni vicini, e venivano macellati una volta all’anno per ottenere una quantità di carne sufficiente a soddisfare i bisogni delle famiglie contadine per diversi mesi. Del resto, secondo il detto popolare “che del maiale non si butta via niente” c’era un completo e saggio utilizzo di tutte le carni e le componenti del maiale. Le parti nobili come prosciutto, coppa, pancetta e muscoli interi erano utilizzate nella produzione di salumi stagionati, mentre le parti di spalla, i triti magri e il grasso duro macinati e insaccati per fare salami fermentati o mortadella. E anche le parti meno pregiate, come zampe, guanciale, interiora e persino il sangue venivano utilizzate per diversi altri prodotti e piatti tipici. Per questo motivo, diventò fondamentale trovare dei modi per conservare la carne a lungo, e la lavorazione in salumiera si rivelò una soluzione efficace. La salatura, il fumo e la stagionatura erano le tecniche utilizzate per preservare la carne di maiale, permettendone il consumo anche nei mesi successivi alla macellazione. Ma non solo: queste tecniche contribuivano a migliorare il gusto e la qualità della carne, creando quel connubio di sapori e aromi che ancora oggi rendono la salumeria italiana così apprezzata. Rappresenta infatti un vero e proprio simbolo di eccellenza culinaria, grazie alla selezione delle migliori materie prime (gli allevamenti moderni, rispetto a quelli prevalentemente rurali di un tempo, si sono evoluti grazie a una selezione genetica dei capi e all’applicazione di criteri nutrizionali e bilanciati delle razioni alimentari per dare carne di migliore qualità rispetto al passato) e al mantenimento di tecniche tradizionali di lavorazione che si tramandano di generazione in generazione, anche applicando le tecnologie più avanzate e sfruttando le più aggiornate conoscenze scientifiche. È un’arte che si è evoluta nel corso dei secoli, riuscendo a mantenere inalterati sapori e profumi autentici che raccontano la storia e la passione della nostra cultura gastronomica. La salumeria italiana è da sempre caratterizzata da una grande varietà di prodotti e tecniche di lavorazione, che si sono sviluppati in base alle risorse disponibili nelle diverse zone del Paese, molto legate ai territori e alle tradizioni culturali di regioni e aree più circoscritte. Se l’Italia è oggi la patria di produzioni di qualità, riconosciute specialmente all’estero, lo si deve a quel legame con i territori dove si sono sviluppati prodotti che oggi hanno la marcatura d’origine (DOP e IGP) o sono inserite nell’elenco delle produzioni tipiche tradizionali (i PAT, classificati a livello ministeriale come patrimonio originario dei territori).
Tuttavia, nelle aree montane, dove l’allevamento del suino era più difficile, il maiale veniva sostituito dalle carni di animali dei pascoli, come vacche, asini, capre e pecore.
In particolare, la bresaola, tipico salume della Valtellina, è ottenuta da specifici tagli anatomici magri della coscia di manzo, che viene salata, speziata e lasciata stagionare per diverse settimane. La Bresaola della Valtellina IGP è l’unico salume a base di carne di manzo, finora, che si avvale della Denominazione d’Origine, però al di fuori del Consorzio di Tutela assumono una particolare rilevanza, anche commerciali, alcune produzioni locali. Nella stessa provincia di Sondrio, si producono infatti altri tipi di bresaole come quella chiavennasca1 (tipica della Val Chiavenna), che si caratterizza per un particolare procedimento di affumicatura con legno di pino, e la bresaola di Livigno, che viene stagionata senza essere messa in budello. Nulla vieta nemmeno che, utilizzando le medesime tecnologie di lavorazione della bresaola, se ne possano produrre sia a livello industriale che artigianale anche fuori dal territorio della Valtellina, tanto che la si può fare anche con carni diverse da quelle di manzo, come quella di cavallo e di cervo e, in epoca più recente, persino di tacchino [1]. Una bresaola di particolare pregio per i buongustai si può ottenere anche con le carni di manzo Kobe o Wagyu, caratterizzate dalla “marmorizzazione” o marezzatura del grasso intramuscolare [2].
La bresaola rientra nel novero delle carni conservate mediante salatura ed essiccamento che la accomunano a prodotti simili come la Bundnerfleisch o Carne Secca dei Grigioni, il Pastirma turco, il Biltong sudafricano e persino il Jerky americano. E si colloca in un segmento di mercato di eccellenza come quella del prosciutto crudo, con l’idea per lo più di offrire un salume magro e con pochissimo grasso (se non solo quello di marezzatura), dall’elevato potere nutrizionale perché ricco di proteine, minerali e vitamine e perciò adatto anche alle diete. Ed è perfetta per chi rinuncia alle carni di maiale per motivi etici e/o religiosi. […]